Effetto Dunning-Kruger
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L'effetto Dunning-Kruger e come combatterlo nelle dinamiche aziendali

Cosa troverai in questo articolo. Ci sono due tipi di incompetenti: quelli inconsapevoli e quelli consapevoli. I primi sono quelli più difficili da combattere, perché non si rendono conto loro stessi dei danni che la loro incompetenza può provocare e, anzi, tendono a piegare la realtà alla propria visione pur di avvalorare quest’ultima. Tale situazione, ascrivibile a una distorsione cognitiva chiamata effetto Dunning-Kruger, può essere molto deleteria in un mondo come quello del marketing, così competitivo e basato su decisioni rapide. Se la si conosce, però, la si può evitare o almeno addomesticare. 

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Sui social media tutti sembrano saperla sempre più lunga di noi, anche quando non ne sanno nemmeno la metà. Siamo noi a sbagliare o sbagliano loro? E chi sono “loro”? Ma soprattutto, cosa fare quando a comportarsi così sono proprio le persone che prendono le decisioni più importanti sui progetti di marketing di cui ci occupiamo? Te lo spieghiamo parlandoti dell’effetto Dunning-Kruger e di quali mezzi abbiamo a disposizione per arginarlo. 

Cos’è l’effetto Dunning-Kruger? 

Con l’effetto Dunning-Kruger siamo in presenza di un bias cognitivo in base al quale persone con una scarsa o nulla conoscenza o competenza tendono a sovrastimare il loro stesso livello in quella specifica conoscenza o competenza e addirittura ritenersi esperti in materia.

Dunning-Kruger

Secondo gli psicologi che l’hanno per primi teorizzata, David Dunning e Justin Kruger, questa distorsione del pensiero deriva dal fatto che la capacità metacognitiva di riconoscere i propri deficit richiede comunque di possedere almeno un livello minimo di quella conoscenza o competenza. In parole povere: per riconoscere di non essere un bravo panettiere devi almeno sapere come si accende un forno.  

In assenza di tale condizione, le persone in questione tenderanno a dare per scontato di essere in possesso di quel requisito minimo, obbedendo a un altro bias fondamentale del pensiero umano, quello di scegliere, in ogni occasione, quella che sembra l’opzione più ragionevole e ottimale: in questo caso, l’opzione “sono informato e intelligente tanto quanto chiunque altro”.  

Tra le varie cose, l’effetto Dunning-Kruger ci spiega anche scene pittoresche come quelle in cui gruppi di comuni cittadini si costituiscono in comitati di difesa di soggetti accusati di omicidi o altri gravi crimini basandosi su quella che ritengono essere condizione sufficiente per esprimersi in materia, ma che non lo è affatto: l’aver fedelmente ascoltato i servizi trasmessi dai giornalisti in TV o una semplice sensazione “di pancia” ricavata dalla narrazione particolarmente convincente dell’imputato stesso (ascolta il podcast “Indagini” del Post: è ricco di esempi di questo tipo).  

Ma lasciamo la cronaca nera e torniamo all’ambito che ci compete, il marketing, e vediamo quali sono gli effetti che l’effetto Dunning-Kruger può avere sul rendimento dei nostri progetti.

Chi colpisce più di frequente l’effetto Dunning-Kruger 

Per trovare esempi di come l’effetto Dunning-Kruger può impattare negativamente sulla buona riuscita di un progetto di marketing non bisogna cercare lontano: se ne riscontrano ovunque le decisioni importanti non siano affidate a esperti del settore, siano essi un team interno all’azienda o collaboratori esterni. Questo è particolarmente vero in due occasioni: 

  1. Nei casi in cui l’azienda venga gestita, con importanti e frequenti ingerenze per quanto riguarda i processi decisionali e l’elaborazione di strategie, da qualcuno che non abbia esperienza e conoscenze pregresse in ambito marketing e che, anziché fidarsi di chi, sottoposto, ne sa più di lui in materia, si intestardisce a prendere le decisioni che contano, magari senza altra guida che una sensazione di pancia (proprio come quelle di cui ti parlavo nella prima parte di questo articolo);

     

  2. Nelle aziende di piccole dimensioni, dove per forza di cose una stessa persona si ritrova a dover coprire più ruoli simultaneamente, spingendosi molto al di fuori della propria comfort zone con il rischio di sconfinare nell’incompetenza. 

Un bias che prospera nei rapporti di subordinazione 

La prima situazione è quella più problematica perché è quella da cui originano spesso i problemi maggiori. Un capo che conosca solo Google Ads per averlo usato 7 o 8 anni prima in maniera saltuaria, e voglia usarlo in maniera esclusiva per un suo personale pregiudizio o antipatia generazionale nei confronti di altre piattaforme, potrebbe ad esempio fissarsi sul fatto che questo sia l’unico canale che valga la pena navigare nonostante il parere avverso del suo esperto SEA. Il problema principale, qui, è che al proprio superiore ci si può opporre fino a un certo punto, poi bisogna scegliere se gettare le armi o morire. 

Comunque, in mancanza della visione ad ampio raggio che solo una conoscenza approfondita della materia può fornire, queste persone tenderanno a voler applicare sempre la stessa strategia anche laddove non sia adeguata al mezzo, all’obiettivo, alla chiave comunicativa richiesta dalla specifica situazione, o comunque a rimanere nell’alveo di ciò che già conoscono. Cercheranno quindi di semplificare il complesso, cercando di adattarlo (costringerlo) a tutti i costi alla propria visione e dunque confermare quest’ultima come unica valida e degna di nota. Non solo: cercheranno di risolvere in breve tempo ciò che necessita di tempi dilatati per risolversi (se ti occupi di SEO, questa è una dannazione che ti porti dietro da quando hai iniziato questo lavoro). 

Un bias che prospera nei rapporti di subordinazione

Come uscirne con soluzioni low-cost e/o gratuite 

Come arginare questa situazione? Una è la formazione: non c’è modo migliore di combattere l’ignoranza con l’educazione. Se abbiamo una piccola azienda che può investire pochissimo in corsi di formazione, possiamo approfittare dei grandi momenti di aggregazione come il WMF di Rimini che, a fronte di un biglietto di ingresso dal prezzo contenuto, permettono di partecipare a tantissimi workshop e seminari tenuti da esperti del settore, ascoltando i loro casi di successo e strategie vincenti.  

Situazioni di questo tipo sono occasioni d’oro per scoprire le proprie lacune senza esporsi, ma anche per trovare risposte fattive alla domanda “Perché crescono tutti tranne noi?”, prendere ispirazione o anche tessere nuove collaborazioni. Infatti, potrebbe essere proprio questo il momento per individuare le collaborazioni più adatte alle proprie esigenze, spiegando le proprie difficoltà e richiedendo un assessment iniziale a un’azienda esterna. Progressivamente si potrà impostare il lavoro in modo da portarlo avanti con sempre maggiore autonomia. 

In rete, poi, si trovano molti corsi gratuiti estremamente validi (ad esempio quello di Google sullo UX Design) che oltre a fornire un attestato finale danno anche molte nozioni interessanti e possibilità di metterle in pratica attraverso un sistema di peer review. Il nostro capo potrà non essere disposto a dedicare ore e ore del proprio tempo alla formazione, ma possiamo sempre proporci noi, magari con la promessa di riportare quanto imparato ai nostri colleghi, in un’occasione di formazione collettiva: un modo per costruire fiducia, ma anche per stabilire routine positive che contribuiscano a mantenere l’azienda aggiornata e al passo con i tempi. 

Coming soon: 

Il blog di Seed torna la prossima settimana con un articolo dedicato alla gestione efficace delle recensioni online in cui parleremo anche di Amazon, review comprate al mercato nero e altri mostri fantastici. Torna qua presto! 

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